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Archive for settembre 2012

 

“VOX CORDIS” dI Arezzo: una corale per un mondo nuovo.

[ verso altri orizzonti ]

 di: Luciano Galassi

Nell’ambito del Festival Pergolesi Spontini di Jesi, venerdì 14 settembre 2012 alle ore 21, nella Pontificia Basilica della Santa Casa di Loreto, l’ensemble vocale “Vox Cordis”, diretto da Lorenzo Donati, ha intonato “Sub Tuum Praesidium”, un concerto in collaborazione con la Delegazione Pontificia della Santa Casa di Loreto – sul millenario percorso di trasfigurazione dei canti monodici mariani, con brani dal gregoriano ai giorni nostri, passando per Gaspare Spontini di cui è stato eseguito il Dominum salvum fac Regem nella trascrizione di Donati per coro, violoncello e organo. Suonano Alessandro Culiani (violoncello) e Simone Baiocchi (organo).

Entro, convinto di assistere ad uno dei tanti concerti di qualità, che si tengono presso il Santuario di Loreto, “teatro”, ogni anno, tra l’altro, della Rassegna Internazionale di Musica Sacra “Virgo Lauretana”.

Non potevo immaginare ciò che sarebbe successo.

L’iniziale disporsi dei coristi all’ingresso e lungo le absidi laterali, mi ha subito riportato alla mente uno specifico delFestival “Cantar Lontano”, di cui è Direttore artistico il Maestro Marco Mencoboni.

Da diversi anni il Santuario è una “tappa” del Festival, ed è stato lì che ho conosciuto il “cantar lontano” come una modalità di esecuzione del passato, per la quale i cantori si disponevano lontano dalla vista dei presenti o in cantorie in alto (Mencoboni li ha anche fatti salire sopra la S. Casa), per cui si creava un clima di ascolto particolare e suggestivo.

Inizia il concerto, le voci si propongono e “rimbalzano” dai vari punti.

Voci maschili, in fondo, e femminili, diffuse.

Un brano gregoriano, il “Salve Regina”,

Le coriste tengono in mano una candela. Una di loro, non lontana da me, noto che è incinta: sorrido.

Le coriste sfilano verso l’altare centrale, lasciando le candele su delle balaustre.

Il concerto prosegue.

La gente non applaude, forse nel timore di sciupare un incantesimo.

Verso la metà del concerto, con il coro disposto sull’altare, mentre il canto procede con il “Credo”, dello stesso MaestroLorenzo Donati, noto uno strano movimento: i coristi sembrano ondeggiare e poi si muovono e vengono in mezzo a noi, “circondandoci”.

Il canto è intenso, lento, e inizia a diffondersi, ne siamo avvolti.

Con i cantori che continuano a muoversi tra gli spettatori, sento nascere una emozione crescente, intensa, profonda.

Voci su voci, maschili, femminili, e ancora e ancora, come onde sonore, come onde del mare, mi lambiscono, mi entrano dentro, carezzevoli e vibranti.

Nella Chiesa si è creato qualcosa di impalpabile e evanescente al tempo stesso, che aleggia sopra di noi.

Sento arrivare le lacrime, a stento trattenute, ma voglio che sia quello che deve e vuole essere, voglio lasciarmi toccare, “risvegliare”.

Il luogo è oramai come “trasfigurato”, incantato. Si perdono i confini e le definizioni.

Sta succedendo qualcosa di insolito, straordinario, unico.

Il canto prosegue, intenso, a lungo. Sembra quasi un “farmaco” potente, un balsamo, che parla all’intera persona, con un coinvolgimento che va bel al di là del “semplice” apprezzamento estetico.

Siamo calati all’interno di un “utero” di suoni e voci, che sa di “magia”.

Lentamente l’intensità si placa, si fa lieve, delicata.

I cantori tornano all’altare.

Ho la sensazione che anche noi siamo “trasfigurati”, mentre torniamo in noi stessi, ancora increduli, scossi, dopo questo “volo”, questa immersione, assolutamente imprevedibile.

Piano piano anche la mente sembra ritrovare la capacità di pensare, di articolare qualche riflessione.

“Che bello !”, riesco a dirmi.

Qui non si è più in una “semplice” dimensione musicale.

Così mi viene da pensare che c’è un’altra umanità possibile, che i confini che ci diamo non sono più proponibili, che l’immaginazione non è fantasia, ma l’araldo dell’infinita ricchezza praticabile dagli esseri umani.

Qualcosa che può contribuire a cambiare una vita, o forse una comunità, capace di toccare anche le pelli più coriacee.

Penso anche a quanto bene un concerto simile potrebbe portare a persone che hanno magari vissuto una delle tante esperienze traumatiche che, uomini superficiali e aridi, hanno il vezzo e la stupidità di regalarsi a vicenda.

Penso ai bambini traumatizzati dal terremoto, dalla guerra e alla capacità di una simile “musica” di riaprire i cuori, di sciogliere il dolore, il pianto, le ferite incistate nell’anima, di ritrovare pace e sorriso.

Di quanta Bellezza possiamo essere capaci !

Il concerto prosegue, mentre si è oramai consolidato dentro un vivo senso di gratitudine riconoscente: GRAZIE !

E’ sicuramente il concerto più intenso e coinvolgente a cui io abbia mai partecipato, un autentico DONO, inatteso e caldamente, sinceramente gradito.

Istanti che restano nella pelle, come una perla preziosa, che elevano l’anima verso orizzonti sconfinati, verso le radici più intime e vere della sacralità della nostra vita.

E ancora mi accompagna, e sento, un gorgogliare di fresche acque…

——-

Creature

Con mani giunte pregheremo il cielo,

con braccia aperte lo invocheremo,

con la gioia e con le lacrime,

con le mani sul cuore,

impareremo a dire

il grazie che trabocca dall’anima

e dalla nostra dignità di creature.

——-

Siamo stelle

 

Siamo stelle, traboccanti d’amore, che parlano, ridono, giocano.

Siamo occhi aperti su questa vita, cullata dal vento.

Siamo mani che invocano tenerezza e gioia, calore, rispetto, dignità, che chiedono di non perdersi in un buio sconfinato, nel deserto della disperazione cieca.

Dalle nostre gole mute, un giorno è sgorgata la parola, per dire della gioia e del dolore.

Con trepidazione e incredulità prese forma quel primo suono, che ebbe il potere di dire al cielo che eravamo lì e non volevamo essere dimenticati.

Guarda anche me, anche noi.

Eravamo corde mute, dalle infinite melodie, eravamo mille colori, mille parole, mille gesti pronti a schiudersi.

Eravamo le finestre di una casa che sognava la luce.

E che sapiente maestra sono state le lacrime, nel loro silenzioso scavare voragini, nel loro rendere permeabile e trasparente l’anima.

Anche un fiore, un solo piccolo fiore prende a volte la parola, per dirci della magia della vita.

Forse è proprio vero: siamo fiori dell’infinito …

Attraverso tali esperienze può sicuramente crescere la consapevolezza della Grazia, della Bellezza, della Sacralità della Vita.

Luciano Galassi   (15 settembre 2012)

http://lucianogalassi.jimdo.com/pensieri-liberi/vox-cordis/

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di Sergio Di Cori Modigliani

Parliamo dunque dell’Alcoa e di Portovesme in Sardegna.

Di conseguenza, parliamo di scelte strategiche militari e di investimenti di speculazione finanziaria sui derivati nelle commodities del settore minerario.

Quella che si sta combattendo in Sardegna è guerra vera, ma non lo dicono.

Quando parlo di “guerra vera” intendo dire carri armati, bombardieri, ecc.

E di un flusso di cassa permanente di soldi per la criminalità organizzata.

Una brevissima pausa tanto per ricordare quel martedì atroce dell’11 settembre.

Non quello delle torri gemelle nel 2001.

Bensì quello del 1973, quando la Alcoa, la Enron, la ITT e la Citicorp diedero il via definitivo ai fascisti cileni per impossessarsi del potere in Sudamerica con la violenza. Avevano bisogno del controllo economico e finanziario di tutta la produzione estrattiva delle miniere di rame in Cile, del controllo della produzione di alluminio, carbone e zinco nella zona tra Il Cile, il Perù, l’Uruguay e il Paraguay. Fu quella la ragione e il motivo.

39 anni dopo la Alcoa sta di nuovo in prima fila nella gestione del riassestamento strategico delle sue aziende.
L’ufficio operativo marketing europeo nacque e si costituì a Milano, nel 1967, e da lì, grazie all’appoggio dei ceti più  conservatori della politica italiana, iniziarono a tessere le fila per il golpe in Sudamerica nei primi anni’70, come tonnllate di documenti hanno ampiamente provato da decenni.
Ho ritenuto opportuno, oggi, quindi, spiegare chi sia la Alcoa.
Chi la dirige, chi la gestisce. Chi c’è dietro.
Per comprendere che non si tratta di una “normale” battaglia sindacale.
Si tratta del nuovo scenario dell’oligarchia finanziaria planetaria da applicare all’Azienda Italia  per affossare definitivamente il paese.
Dietro l’Alcoa c’è la Citicorp che ne gestisce la finanza in un fondo creativo il cui management operativo è affidato al nucleo di Black Rock Investment, garantito da Royal Bank of Scotland e amministrato, in ultima istanza, dal quartiere generale di Goldman Sachs (è tutta robbetta ricavata da files pubblici gentilmente offerti nel 2010 e nel 2011 dalla ditta wikileaks di Julian Assange) che in questo 2012 sovrintendono, gestiscono e stabiliscono gli investimenti produttivi nel settore energetico nel pianeta.
Ecuador, Bolivia, Uruguay, Islanda, Australia, Spagna, Italia.
Queste sono le nazioni “strategicamente” più interessanti per Alcoa negli ultimi 10 anni.
Queste sono le nazioni nelle quali, nell’ultimo triennio, Alcoa ha avuto dei seri guai (oltre che perdere ingenti profitti ai quali erano abituati).
Nelle prime quattro nazioni il problema è stato risolto dai governi locali e vi spiegherò come. In Australia è stato affrontato e risolto dal Commonwealth in 36 ore tra il 28 e il 29 giugno del 2012, evitando una pericolosa crisi politica britannica venti giorni prima dell’inizio delle olimpiadi. In Spagna e in Italia (considerate ormai in tutto il mondo le due nazioni più conservatrici, più arrese, più arretrate dal punto di vista politico, completamente commissariate dai colossi finanziari) è stata scelta la linea colonialista, sapendo che in Italia e Spagna, in questo momento, è possibile fare tutto ciò che si vuole perché non esiste nessuna opposizione reale, avendo cancellato l’esercizio dell’informazione giornalistica.
Nessuno spiega chi è Alcoa, che cosa fanno, che cosa vogliono da noi, e perché se ne vanno via, dove, come, a fare che.
La prima botta per Alcoa è venuta dall’Islanda.
I guai per Alcoa (si fa per dire) iniziano in Islanda, agli inizi del 2007, quando un esponente del partito socialista islandese, membro della commissione salute e sanità del parlamento islandese,  Helgi Hjorvar, fa una interpellanza parlamentare contro Alcoa sostenendo che “sta ottenendo sovvenzioni statali grazie alle quali ha assunto il totale controllo dell’erogazione di energia elettrica nella nostra isola praticando un prezzo ai consumatori dell’850% superiore a quelli di mercato e a quelli praticati in altre nazioni”.  Da lì nasce una tremenda querelle che porterà poi Alcoa, prima a scusarsi, poi a patteggiare e infine, travolta dallo scandalo di corruzione delle multinazionali emerso in seguito al default islandese, a pagare un dazio e poi scappare via.
Ma pochi mesi dopo, alla fine del 2008 arriva la botta dell’Ecuador. Il nuovo governo di Rafael Correa fa arrestare l’intero management di Petroecuador attaccando per corruzione internazionale la società svizzera Glencore, sì proprio quella che la cupola mediatica italiana sostiene oggi sui media blaterando “c’è un cliente interessato all’acquisto”, è proprio quella che –toh guarda caso- è però la stessa azienda; perché, attraverso incroci azionari, rispondono entrambe all’interesse della Citicorp di New York. Fernando Villavicencio, esperto sudamericano a Quito di analisi finanziarie, rivela come e perchè l’azienda locale di Alcoa e Glencore,  a Quito, sia stata nazionalizzata e l’azienda buttata fuori dal marketing operativo. Il tutto dopo che in data 9 Febbraio 2007, in Bolivia, il presidente Evo Morales aveva dichiarato “insostenibile” il monopolio di Glencore e Alcoa nel settore argento, oro, zinco, alluminio attraverso la “Empresa metalurgica Vinto” nella regione di Oruro e la Sinchi Wayra (capitale finanziario Deutsche Bank e Citicorp)  grazie alla corruttela dei precedenti governi, i cui esponenti sono finiti in galera. Nella stessa data, il parlamento boliviano vara un decreto legge in virtù del quale confisca le aziende di Alcoa e Glencore senza alcun indennizzo,  nazionalizza le dodici aziende minerarie, e le espelle entrambe dal paese vietandone l’accesso al mercato. Da notare che il presidente della Glencore (uno degli uomini più ricchi al mondo) Marc Rich, è stato indagato in Usa per truffa, aggiotaggio, riciclaggio, sottoposto ad auditing davanti al Senato Usa nel febbraio del 2001 in diretta televisiva, processo concluso in maniera negativa sia per Rich che per la Glencore che per la Alcoa, ritenute colpevoli.  La sentenza definitiva venne stabilita per il successivo aprile. Ventiquattro ore prima della notifica, il presidente George Bush intervene personalmente (potendolo legalmente fare) chiedendo, pretendendo e ottenendo un “perdono giuridico del Congresso” in quanto tali aziende erano costrette a non rivelare la “vera natura del proprio business operativo essendo coinvolte in attività di natura strategica militare coperte dal segreto di Stato”. Il presidente garantì per loro.  Nel 2005 l’interpol fa arrestare l’intero management di Glencore, di Alcoa e di African United Mines company nella Repubblica del Congo per riciclaggio internazionale di capitali, aggiotaggio e associazione con membri della criminalità organizzata legata ai cartelli narcos colombiani.  E’ tuttora aperta la vicenda nella Repubblica dello Zambia, nella regione di Mopani, dove, approfittando della corruzione dei governanti locali le miniere vengono gestite senza rispettare alcuna norma di sicurezza o di rispetto ambientale. Come l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivelato in un documento ufficiale presentato a Ginevra da Greenpeace in data 2010, in Zambia, “nella zona prospiciente la regione di Mopani, cinque milioni di persone rischiano la vita in seguito a piogge acide, all’avvelenamento di tutta la falda acquifera dato che la popolazione beve acqua non sapendo che essa non è potabile perché contiene una percentuale di piombo e alluminio superiore del 6.000% al livello massimo di rischio: sono tutte condannate a morte”.  L’inchiesta è ancora lì.
In Paraguay, il vescovo Lugo, in quanto presidente regolarmente eletto, in data marzo 2012 aveva annunciato che avrebbe confiscato le miniere di Glencore e di Alcoa nel giugno del 2012 dando loro la possibilità di iniziare un piano di disinvestimento progressivo. Un mese dopo c’è stato il suo defenestramento sostituito da un governo tecnico che ha abolito il decreto affidando alle due aziende il controllo delle miniere del paese.
E così nel 2012 la Alcoa  stabilisce che il quadro internazionale sta cambiando e decide di “spostare strategicamente tutte le attività estrattive, produttive e commerciali dal Sudamerica, Europa e Australia nel libero territorio dell’Arabia Saudita”  paese medioevale dove c’è la possibilità di avere a disposizione mano d’opera che lavora quasi gratuitamente.  Secondo il management dell’Alcoa c’è la opportunità di concentrare tutta la produzione mondiale di minerali fossili in Arabia Saudita con un prezzo di produzione minimo in modo tale da poter avere il monopolio nel mondo. E quindi dettare legge.
In Spagna (dove si trova la più grande azienda in Europa) gli va di lusso.  Attraverso le sue consociate finanziarie, il gruppo Citicorp possiede pacchetti azionari di Caixa Bank, Banco Santander, Bankia e Banco Hispanico e quindi controlla il sistema finanziario delle banche erogatrici di credito a tutto il comparto dell’indotto nella provincia dell’Andalusia. 50.000 famiglie finiscono tutte sul lastrico per la chiusura delle miniere, alle quali vanno aggiuntre circa 2.000 micro aziende dipendenti, che porteranno la Andalusia a dichiarare default nell’agosto del 2012 chiedendo l’intervento dello stato centrale.
Ma è in Australia che gli va male, ragion per cui sceglie e opta per la chiusura in Italia.
Avviene tutto nel giugno del 2012 quando Alcoa decide di chiudere le miniere nel Queensland, licenziando 2.000 persone che coinvolgono altre 3.600 persone operative nell’indotto. E qui c’è la sorpresa, a dimostrazione che –quando esiste la volontà politica, l’informazione e l’intelligenza- c’è sempre una possibilità di uscita. La Alcoa comunica che chiude le sue miniere e si trasferisce in Sudafrica. 48 ore dopo, il gruppo wikileaks australiano di Julian Assange inonda la rete australiana con notizie, informazioni (e trascrizioni di conversazioni tra diplomatici americani, inglesi, arabo-sauditi, italiani) relative soprattutto all’attività di un tedesco considerato un grande genio, Klaus Kleinfeld, la mente dietro Alcoa, l’uomo la cui immagine vedete qui in bacheca. Nato nel 1957 si laurea a pieni voti nella prestigiosa università di Gottinga e poi prende anche un dottorato di ricerca nell’università di Wurzburg in “amministrazione gestionale di aziende multinazionali” e inizia presto la sua attività, prima come consulente finanziario per Goldman Sachs nei primissimi anni’80 e poi a Duisbrug, Wiesbaden e infine a Francoforte, come responsabile degli investimenti finanziari in Europa per conto del gigante statunitense Citicorp. A metà dergli anni’90  entra in Alcoa diventando presidente dal 1996  al 2001, gestendo in prima persona “l’operazione Italia di Portovesme” (dal punto di vista finanziario) prima con l’accoppiata Romano Prodi/Massimo D’Alema nel 1996 e 1997 e poi con l’accoppiata Silvio Berlusconi/Ignazio La Russa nel 2001. Dopodichè viene inviato in Usa dove diventa amministratore delegato della Siemens tedesca, gigantesca multinazionale strategica in campo militare e delle telecomunicazioni. Ma in Germania iniziano le contestazioni contro di lui all’interno del mondo imprenditoriale per i suoi modi autoritari e per l’indecoroso trattamento degli impiegati e degli operai tedeschi nelle fabbriche tedesche. Per anni, Kleinfeld è al centro del mirino della stampa tedesca finchè non finisce indagato, accusato di corruzione, abuso di potere e addirittura “atteggiamento autoritario e lesivo della dignità umana dei propri dipendenti” ed è costretto a dimettersi nel 2007, scomparendo nel nulla (ovvero, rientrando come consulente operativo finanziario dentro Citicorp).
Alcoa in Italia nasce nel 1967 a Milano quale ufficio di rappresentanza e commerciale per la gestione delle vendite di materiale di produzione statunitense ed europea alla clientela italiana e del Bacino Mediterraneo. Ma Kleinfeld gestisce, insieme a Citicorp e Goldman Sachs, l’acquisizione della ALUMIX (gruppo EFIM) di proprietà dell’Italia; un’operazione gestita da Prodi e D’Alema che consegnano nelle mani del consorzio Citicorp e Goldman Sachs un pezzo strategico fondamentale per la sovranità e l’indipendenza nazionale senza aver mai fornito dettagli sull’operazione.  Alain Belda (personalmente scelto da George Bush, Dean Rumsfeld e Dick Cheney) nel 2001 diventa presidente della Alcoa e chiude un accordo con il governo italiano prima nel 2002 (Berlusconi/La Russa) poi di nuovo nel 2007 (Prodi/D’Alema) e infine il più succoso in assoluto quello del 2009 (Berlusconi/La Russa)  che consente alla Alcoa di godere di sovvenzioni governative come “rimborso relativo all’uso dell’energia elettrica” per un totale di 2 miliardi di euro nel 2009, più 1 miliardo e mezzo nel 2010 che raggiungono i 4,5 miliardi di euro nel 2011, a condizione di “garantire l’occupazione permanente e il prosieguo dell’attività produttiva nel territorio sardo”. Quei soldi, in verità, sono finiti nella Citicorp, investiti nei derivati finanziari. Neanche lo vendono l’alluminio: lo producono, lo accatastano, lo immagazzinano e lo danno in garanzia per avere soldi da investire in derivati speculativi.
L’Italia è stata una pacchia per gli speculatori, soprattutto tra il 2007 e il 2011, perché attraverso la malleveria politica ogni multinazionale e grossa azienda –con scusanti varie- si è appropriata di ingenti risorse dello stato centrale (cioè i nostri soldi) per investirli poi a Londra, New York, Francoforte, Honk Kong.
Ma i profitti lucrati non sono mai rientrati in Italia.
Neppure un euro.
Come dicevo sopra, nel giugno del 2012 Alcoa decide di chiudere in Australia “rompendo” il consueto patto: mi dai sovvenzioni statali e io ti garantisco piena occupazione nel settore. Ma in Oceania, la manovra non passa. Fa da ariete Julian Assange (e wikileaks) da due giorni finito dentro l’ambasciata dell’Ecuador, e in Australia monta il dibattito su Alcoa. Perché sul web australiano, sui blogs e sulla stampa mainstream cominciano a comparire valanghe e fiumi di notizie sulla Alcoa, sulla Glencore e sulle loro attività finanziarie. Il primo ministro australiano interviene e risolve il tutto in tre giorni. Telefona alla regina Elisabetta e le dice “Maestà, se queste 4.000 famiglie verranno buttate in mezzo alla strada, riterrò politicamente responsabile la Corona d’Inghilterra e lei personalmente ne trarrà le conseguenze. Sulla base del nostro diritto io denuncio quindi la questione al Commonwealth, pretendendo un’aperta discussione anche all’interno del parlamento britannico a Londra”. Lo fa anche per iscritto. Invia una lettera a Elisabetta (bypassando David Cameron) ma la copia la invia anche ai responsabili del Partito Laburista Britannico (i partiti servono, eccome se servono; il problema non sono i partiti, in Italia, ma la qualità delle persone che li compongono, il che è un altro dire) i quali si incontrano con la regina e risolvono la questione in un semplice colloquio, peraltro informale. La Legge britannica obbliga la regina a non mettere bocca su quello che fa il suo primo ministro (a meno che lei non lo sfiduci) ma il primo ministro non si impiccia del Commonwealth che la Corona sovrintende (Canada, Australia, Bahamas, Bermudas, ecc.). Il ministro degli esteri inglesi viene avvertito e invitato a chiedere alla Merkel che intervenga; evento che si verifica. Kleinfeld viene raggiunto e viene chiuso un nuovo accordo. La  Corona mette subito 40 milioni di sterline per pagare gli stipendi dei minatori per due mesi e nel frattempo garantisce che la Alcoa rimane lì e seguiterà a produrre, oppure, nel caso se ne voglia andare, restituisce i soldi che ha avuto e la Corona d’Inghilterra si fa garante, oltre a farsi carico della spesa di riconversione, assumendosi la responsabilità di avere a suo tempo dato il via all’operazione.
Trovate tutto il racconto sul sito (per gli amanti dei link) news.ninemsn.com.au
Perché non farlo anche in Italia?
L’Alcoa o rimane (e ringrazi il cielo) oppure deve restituire i soldi che ha avuto, li deve restituire subito, cash really cash, sufficienti a garantire la tenuta dell’occupazione e riconvertire con un abile piano industriale la zona rilanciando lavoro e occupazione. Si tratta di circa 8 miliuardi di euro, praticamente una manovra economica.
Lo sapete che non esiste una fattura, un bilancio, una documentazione, una ricevuta di quei soldi?
Lo Stato italiano per anni ha dato i soldi dei contribuenti a un’azienda gestita da una pattuglia  che rispondeva agli ordini di Dean Rumsfeld (ex ministro della Difesa Usa) uomo costretto alle dimissioni in Usa e scomparso nel nulla per pudore, e assiste passivo e silente dinanzi a ciò che sta accadendo?
Perché i sindacati non raccontano la storia vera di Alcoa?
Perché i sindacati non raccontano chi c’è e c’è stato dietro Alcoa?
Corrado Passera sostiene che c’è “un interesse” di Glencore. Ma questa è un’azienda finanziaria che si occupa di investimenti su derivati, l’uno è il braccio dell’altro: che cosa fanno? Un ufficio vende la propria azienda a un’altra stanza dello stesso ufficio?
Ci avete presi per deficienti cerebrolesi?
Il sole24 ore poi viaggia su un delirio da cupola mediatica: “c’è un forte interesse da parte di un’industria svizzera, la Klesh”.
Peccato che anche questa sia una società finanziaria della Citicorp, gestita da Goldman Sachs, già operativa dentro la Alcoa, ex socia di Halliburton, Enron e Pimco Pacific insieme al vice-presidente Usa Dick Cheney, gestita da un management “discutibile” dato che l’intero consiglio amministrativo è composto da individui indagati, denunciati, alcuni condannati per riciclaggio, aggiotaggio, violazione delle norme fiscali, retributive e associative, tra cui falso in bilancio, coinvolti in continui scandali finanziari.
In Sudamerica stanno cercando di liberarsi di questa gente. Quando e se possono, li sbattono fuori dal paese, o li mettono in galera.
In Australia, il governo è intervenuto subito coinvolgendo tutta la city di Londra, minacciando sfraceli. Ha ottenuto un risultato in 48 ore.
E in Italia?
I lavoratori della Alcoa hanno il sacrosanto diritto di combattere per la salvaguardia del loro posto di lavoro, che era stato garantito  da accordi inter-governativi di tipo militare.
Ma hanno il dovere civico di chiedere ai sindacalisti “ragazzì….com’è sta storia della Alcoa?” e pretendere da loro che raccontino chi c’era dietro, quali accordi hanno stipulato, quali erano le garanzie reciproche, pretendere l’esibizione di tutta la regolare documentazione dello scambio tra Alcoa e governo, con nomi e cognomi, date e cifre. Se era legale, dovrebbe essere tutto documentato. Se non è documentato, allora vuol dire che non è legale e il Diritto consente di sequestrare gli impianti come si fa con la mafia.
Soprattutto pretendere che si sappia che cosa c’è dietro, oggi, adesso. Ora.
Nella Guerra Invisibile, la battaglia per il controllo delle risorse energetiche è fondamentale.
Gli operai sardi devono chiedere “Perché l’Alcoa chiude, adesso? Dove sono andati a finire i miliardi di euro che hanno ricevuto? Che cosa hanno dato in cambio?”
Ma soprattutto avere il coraggio civile, e civico, di chiedere “A chi hanno dato in cambio qualcosa? Quando? Come? Quanto?”.
Perché di questo si tratta.
Ecco il vero volto dell’attuale governo in carica: gestire e pilotare la crisi per spingere all’angolo della disperazione sociale chi lavora e poi presentarsi e dire: “o finite in mezzo alla strada oppure vi possiamo salvare vendendo questa azienda a Mr. Pinco Pallino perché noi siamo buoni” obbligando la gente (e le aziende) ad accogliere a braccia aperte Mr. Pinco Pallino senza sapere chi diavolo sia. Così entra la criminalità organizzata, e così penetrano le società finanziarie, il cui unico, dichiarato scopo, consiste nella de-industrializzazione delle nazioni.
Vogliamo sapere le condizioni di vendita all’Alcoa scritte nel 1996. Chi stabilì allora il prezzo? Quali parametri vennero usati e applicati?
Vogliamo sapere quali condizioni e postille e clausole c’erano negli accordi strategici sottoscritti dal governo nel 2001, nel 2007 e nel 2009.
Vogliamo sapere come sia possibile che l’Italia nel 1992 era tra le nazioni leader al mondo nella produzione di lingotti di alluminio e adesso è sparita dal mercato.
Coloro che hanno gestito queste manovre sono le stesse persone che oggi pretendono di guidare il presupposto cambiamento.
Stanno tutti in parlamento.
E voi vi fidate di gente così?
“Devono andare tutti alle isole Barbados”.

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Altri 11 Settembre…

ACCADEVA OGGI

11 Settembre 1973 – Salvador Allende, presidente democraticamente eletto del Cile, si “suicida” durante il bombardamento della Moneda durante il golpe portato avanti da Pinochet e pianificato dalla CIA

“Avranno anche la forza ma non la ragione”

Solo per ricordare che di 11 Settembre ce ne sono stati tanti. Anche se non se ne parla. Anche se non commuovono giornalisti e star della televisione. Anche se non ci saranno minuti di silenzio per commemorarli. L’11 Settembre 1977, per esempio, Stephen Biko uno dei leader della lotta contro l’apartheid sudafricana viene sprangato a morte dentro una camionetta della polizia. L’11 Settembre 1990, l’antropologa guatemalteca Myrna Mack viene assassinata di fronte alla porta del suo ufficio da militari appoggiati dagli Usa e addestrati negli Usa. Tra il 9 e il 13 Settembre 1971 durante la rivolta nel carcere di Attica (New York) la polizia nordamericana ammazza 39 persone e ne ferisce altre 100. L’11 Settembre 1988 ad Haiti miliziani di destra attaccano la messa di Padre Aristide uccidendo 13 persone. Quando tempo dopo verrà eletto Presidente, per due volte subirà dei golpe appoggiati dagli Usa. Al Cile di Allende, morto tra le macerie del Palacio della Moneda, era toccato lo stesso destino l’11 Settembre 1973. Spianando così la strada alla dittatura di un certo Augusto Pinochet, 3000 omicidi e 30.000 torturati, paracadutato al potere dagli Usa insieme alle bombe. Le stesse bombe che con la scusa di “vendicare” i 2974 caduti delle torri gemelle, nel nome del petrolio hanno fatto tra i 14.000 e i 34.000 morti in Afghanistan, solamente tra i civili. Con un rapporto che è di 10 a 1, come i nazisti alle Fosse Ardeatine.

«Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli. »

(Henry Kissinger a proposito dell’elezione di Salvador Allende in Cile)

11 Settembre 1973, 9:10 A.M.
Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.
La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes.Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.
Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.
Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.
La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.
In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.
Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.
Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.
Erano d’accordo.
La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più.
Non importa.
Continuerete a sentirla.
Starò sempre insieme a voi.
Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.
Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.

Santiago del Cile, 11 Settembre 1973

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